Articolo pubblicato sulla rivista Medicare n°4 settembre 2015 dal titolo “APPROCCIO FENOMENOLOGICO, a tu per tu con la sofferenza mentale”

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Esistono percorsi diversi di avvicinamento alla sofferenza mentale. Oltre all’approccio base, quello clinico – nosografico – descrittivo, esistono tutta una serie di altri percorsi ognuno dei quali fa riferimento ad una teoria con la quale ci si adopera a fornire una “spiegazione” del disturbo psichico. C’è poi chi sostiene che l’uomo di per sé sia una realtà talmente complessa che qualsiasi teoria applicata ad esso coglierebbe solo una minima parte della sua sofferenza. Su questo approccio, fenomenologico, il Dott. Marco Martinelli ha sviluppato la sua formazione.

Dott. Martinelli ci può spiegare meglio in cosa consiste l’approccio fenomenologico alla sofferenza mentale?

L’approccio utilizza come metodo l’epochè ovvero la capacità, di fronte ad un soggetto con sofferenza mentale, di operare una sospensione da ogni giudizio e pregiudizio ed anche dal bisogno di giungere ad una definizione diagnostica ed una conseguente terapia psicofarmacologica. Bisogna guardarsi dal farlo troppo precipitosamente comprimendo e pietrificando in questo modo la sofferenza di chi ci sta di fronte, tenendoci distanti dall’<span”>Altro<span”>, non permettendoci di sentirne appieno la sua sofferenza e quindi di comprenderla. È importante comprendere, più che spiegare, creare un rapporto empatico con un procedimento basato sulla “intuizione” fenomenologica (favorita dall’epochè) per arrivare all’essenza della sua sofferenza e da lì poi ripartire a ricostruire.

Quale è la definzione di “normalità” per l’approccio fenomenologico?

La normalità, per la fenomenologia, non è la semplice assenza di sintomi, configurabili in questo o in quel disturbo, ma è la “libertà di essere”, momento per momento, in un modo ma anche in un altro, contro l’essere-costretto-ad-essere che ci impone il disturbo mentale.

La normalità, oltre che libertà, ha anche a che fare con la “proporzione”,ovvero con la capacità di saper coniugare in noi, in gradi diversi, per ogni situazione, i suoi estremi: l’amore con l’odio, la felicità con l’infelicità, i propri bisogni con quelli dell’altro, il fare con il non-fare, il chiedere con il dare, il controllo sulle cose con la capacità di lasciarsi prendere da esse. Il disturbo mentale ci porta invece più spesso a dicotomitizzare, a essere non più capaci di passare da una posizione ad un’ altra e viceversa, di coniugare e proporzionare.

Qual è la posizione della fenomenologia di fronte ad una patologia psichiatrica come la depressione?

La psichiatria fenomenologica invita a distinguere tra la depressione come malattia e la tristezza esistenziale. La prima, con il suo arresto del fluire temporale e la conseguente incapacità ad infuturarsi, con la sua assenza di speranza, la sua devitalizzazione, necessita innanzitutto di essere curata e qui la terapia psicofarmacologica è fondamentale. Le tristezze esistenziali, invece, non vanno medicalizzate, dobbiamo riuscire a vivercele perché ineriscono al nostro stesso vivere, al senso di finitudine e precarietà di questo. Spesso, anzi, possono essere un terreno fertile verso percorsi creativi significativi.

Quindi Dott. Martinelli, cosa fare per ridurre il disagio psichico?

Direi combattere innanzitutto la solitudine, la sofferenza psichica pesca sempre in un isolamento personale e sociale. Quindi sviluppare reti di solidarietà, centri di ascolto, combattere lo stigma e favorire l’integrazione sociale di chi soffre di questi disturbi; offrire loro opportunità effettive di inserimento lavorativo con collocamenti “mirati” che esistono sulla carta ma poi raramente sono realizzati. Dobbiamo ricordarci che il lavoro è il cardine su cui poggia la dignità della persona, la soddisfazione di sé oltre che la propria autonomia.