Quando la morte è volontaria, pubblicazione sulla rivista Medicare

Gli insondabili misteri del suicidio
Il suicidio è senza dubbio l’atto di volontà più impegnativo e drammatico di fronte ad uno “smacco esistenziale”. Non è necessariamente correlato alla presenza di un disturbo psichico: in altre parole può accadere anche in persone esenti da patologia psichiatrica. C’è qualcosa di ambiguo in esso. Consegue ad una perdita di speranza ma nel solito tempo è fonte di speranza, quella di porre fine alle proprie sofferenze quando non più tollerabili. Laddove il suicidio si associa ad una psicopatologia, più spesso si tratta di depressione, maggiore, endogena o psicotica.

È in queste depressioni, infatti, in cui si arresta il fluire temporale, che non si vede più futuro e si annulla così ogni speranza. Non c’è allora rimedio alla colpa che il depresso si assegna anche quando oggettivamente non ne ha alcuna. L’unica soluzione, ai suoi occhi, diventa così la soppressione della propria vita.
Al suicidio può ricorrere anche lo psicotico (schizofrenico) o perché indotto da “voci” o quando il vivere quotidiano diventa “non più tollerabile” di fronte alla perdita del significato abituale delle cose. Nell’esordio schizofrenico può succedere, infatti, che ogni cosa assuma un significato nuovo, misterioso, più spesso minaccioso che fa sprofondare, chi lo vive, in una situazione di profonda angoscia.
Al suicidio si può arrivare anche in assenza di disturbi psichici. In questo caso è spesso un voler riaffermare nella “libertà della morte” la libertà di una esistenza e il suo riscatto. Appartiene a questa categoria il suicidio che consegue ad uno “smacco esistenziale” (più spesso una perdita affettiva, di ruolo, economica o quando la vita non è più tollerabile come in una malattia terminale o in malattie gravemente invalidanti). Il gesto suicidario si può inserire nella cornice di un atto dimostrativo. Ha allora il fine di richiamare l’attenzione su di sé, sul proprio disagio. È una richiesta di aiuto. In questo caso chi lo compie si lascia sempre una “via di uscita”, come l’ingestione di medicinali non troppo pericolosi o l’attuarlo poco prima che rientri un conoscente o un familiare. Quando invece al gesto suicidario si arriva per una autentica determinazione alla soppressione della propria vita (suicidio come scelta volontaria) si adottano modalità che non lasciano vie di uscita e ci si guarda bene dal verbalizzare il proprio proposito. Si può inoltre arrivare al suicidio come imitazione: avviene più spesso in adolescenti (il c.d. effetto Werther) o nell’ambito di una “suicidialità cronica” per un mancato “aggancio alla vita”. Il suicidio può racchiudersi in un gesto singolo oppure in una condottasuicidaria. Sono tali gran parte delle tossicomanie, certe condotte alimentari abnormi (v. anoressia) ed anche chi si dedica alla pratica di sport estremi. Diventa in questi casi quasi uno “sfidare la morte” e solo in questa sfida si ha la percezione della vita, altrimenti vissuta senza senso.
È necessario riuscire a valutare il “rischio suicidario” che è maggiore in presenza di precedenti gesti, in anamnesi familiare e/o personale; se si vive in condizioni di solitudine; in presenza di un “disturbo impulsivo di personalità” e all’inizio del miglioramento clinico di un quadro depressivo. In questa ultima situazione il passaggio al gesto è solitamente determinato da una attivazione sul piano psicomotorio (determinata dall’antidepressivo) quando ancora l’effetto rasserenante sull’umore non si è manifestato. Non dobbiamo inoltre farci trarre in inganno dalla c,d, “luna di miele”: chi, in cuor suo, ha già preso la decisione della morte volontaria nei giorni precedenti il suicidio si mostra solitamente più tranquillo, più sereno, rispetto al suo modo abituale di essere perché ha trovato in sé “la soluzione”. C’è da ribadire comunque con forza che il suicidio, anche laddove ne è stato ben valutato il rischio, non è comunque mai scongiurabile. Pur in presenza di un ascolto “caldo”e volto ad infondere fiducia, di colloqui frequenti, di sorveglianza continua, di una famiglia vicina, l’altro può sempre decidere di chiudere la propria vita con questo gesto estremo.